Fermenti editrice 2004, pp. 62, € 10,00 ISBN-88-87959-56-0
Il ricordo, segno e impronta, vive essenzialmente di un aspetto durativo,
di una forza e natura corrente.
CONSERVAZIONE ----- RIEVOCAZIONE


Nel passaggio dalla conservazione alla rievocazione ho ipotizzato una sorta di scorrimento:
come il plasma nel sangue, così il ricordo
pur essendo dotato di carattere colloidale/fissativo, si avvale di una
componente "liquida", mobile, assumendo forme nuove (contrazioni - dilatazioni), proporzionalmente alla
durata nel tempo o alla partecipazione affettiva.
CONSERVAZIONE ----- RIEVOCAZIONE ----- TESTIMONIANZA
Il ricordo, operante attraverso la voce o localizzato nella dimensione della pagina scritta,
funge da dispositivo per deporre una testimonianza.
Nella poesia
il ricordo cerca un distendimento
Prefazione di Mario Lunetta
Una dissonanza raggelata
In una poesia-manifesto come " Art poétique", compresa
in Jadis et naguère, Verlaine invita i nuovi poeti a uccidere
l´eloquenza(" Prends l´éloquence et tords-lui son cou!":
chiaro riferimento a Hugo e al Parnasse) per abbandonarsi all´´Impair´ della
musica ("De la musique avant toute chose"). Siamo al 1884.
L´Impressionismo s´è affermato in pittura, è prossimo il
Simbolismo, imminente la presenza dell´impalpabile Debussy. Non più
quindi l´intreccio (o la consonanza) tra imago e verbum, ma quello tra verbum e
musica. Le correspondances annunciate da Baudelaire sembrano realizzarsi, nella
modernità più rarefatta, appunto su questa linea melodicamente
estenuata. L´ondata va avanti fino ai primi del secolo successivo, quando
la ferita dell´Espressionismo rimescola crudelmente i giochi, e li butta
senza scampo sulla disarmonia, la frattura, il vortice. Lo sa bene una giovane
poetessa come Anna Laura Longo, che frequenta attivamente al tempo stesso
la scrittura e la musica, e mostra di aver afferrato con intelligenza e sicurezza
di gesto l´impraticabilità di una retorica melodica, fissando al contrario,
fermamente, lucidamente, gli effetti di una retorica della dissonanza. Più
di una volta, in un libro come Plasma,affiorano dichiarazioni di poetica magari
soltanto implicite; ma almeno in un caso il "messaggio" è chiaro,
e chiaramente detto: " Giusto un velo di trucco espressionista/mi separa dai
cespugli esclamanti/-invalicabili spazi di respiro-./Io mi chiedo/se il coraggio
di un gonfiore assoluto/può eguagliare quello della tabula rasa./Fluorescente
il gonfiore./Fluorescente la tabula rasa".
Fin dal titolo l´operazione
di Longo si presenta come indubitabilmente perentoria. E´ insomma chiaro che il
tema centrale del libro è materico e corporale, anche se trattato con una sorta
di freddezza matematica, di distanza da laboratorio. Il plasma, come si sa, è
quella parte liquida del sangue che resta dopo l´eliminazione delle cellule
ematiche, e contiene molte sostanze nutritive importanti(sali, proteine,etc.).
Nel suo segno, si direbbe che il libro si articoli in blocchi di stringente durezza
nei cui interstizi scorrono dei liquidi che non hanno un andamento per così
dire selvaggio, ma sono costantemente regolati da un invisibile manometro.
Insomma, Plasma è un libro"di regia", al tempo stesso libero e
calcolato, che tratta le proprie materie e la propria lingua in modi che
direi "magrittiani": non solo nel senso che le immagini di mano
dell´autrice disseminate a mo´ di finte indicazioni iconico-verbali
( quasi poesie visive molto casual ) sono sarcasticamente fuorvianti; ma
soprattutto nel senso che il bersaglio verso cui è indirizzato lo
sguardo del lettore è ogni volta falsato dai testi di pura scrittura.
Plasma è un libro interessante perché costruisce la propria
decostruzione, in tempi in cui la poesia non si pone troppi problemi,vola basso,
mostra, per lo più con sussiegosa malinconia, l´anima dell´autore
stesa al sole ad asciugarsi dall´umidità che le traversie della vita
le hanno scaricato addosso. Anna Laura Longo organizza una strategia del tutto
antipatetica. Il pathos, se affiora dai suoi versi marmorizzati, è
simile a un feto immerso nell´alcool: non commuove, semmai perturba.
Ma anche il perturbamento, in questo libro non persegue effetti choc.
Persegue magari effetti stranianti, che utilizzano più di una volta
(spie di una visione decisamente antilirica e anticelebrativa dell´io)
metafore "militari" che ben si adattano alle intenzioni di
indagine proclamate - quasi fosse un inverosimile detective - dalla
poetessa:" Qui lo sguardo peraltro ha uno snodo,/una sua militanza".
Ancora:"Le gambe per me sono state indovine,/lucide di olio solare e
su un tratto di terra battuta/hanno preso a schierarsi,/ a sondare".
E ancora:"L´estate rigonfia il suo volto/- pulsante colposo -/e
m´intride di assetto guerriero...". E´ chiaro che lo
sguardo dell´interlocutore persiste "ma recide - ma recide - o
domanda?". La dimensione del rapporto col proprio corpo e con l´
esistere dell´interlocutore (che potrebbe, anche, essere l´ipotetico
lettore di questi testi) è quindi interrogativo, anche quando lo
sguardo paia recidere. E lo sguardo ricopre in tutto il libro un ruolo
rilevante, di quiete e insieme di verifica, di definizione e di dubbio;
né la salvezza sta in una soluzione appunto "magrittiana",
ma forse nell´atto stesso dell´indagare nei propri gesti il
mondo: "Una benda sugli occhi!/Ed annuso l´essenza del passo
inarcato/ del busto in torsione che indaga/ sul senso di un ligneo
pigiama".
Anna Laura ha una precisa consapevolezza della scrittura
che produce invariabilmente il proprio doppio. Per questo i suoi abbandoni
non sono psichici, ma linguistici, la sua emotività non è
di primo grado, ma sempre di grado ulteriore:" Quando temo sono figlia
di un soffuso dipanare,/sono clone di un subacqueo fiore fotosensibile./Ma del
resto io mi forgio in lineamenti di divario/e sconfinando mi protraggo/fino
a farmi racconto". Ecco, la nettezza di questa scrittura poetica sta
anche nella sua tensione verso la prosa, nel perseguimento di un´analisi
piuttosto che di un grido.La poesia è "racconto"; di più,
la poetessa medesima giunge a farsi "racconto". La soggettività
tanto cara a troppi mediocri poeti degli ultimi vent´anni di intimismo
qui viene inscatolata e sottoposta a una severa messa in forma.
Lo strumento e i suoi procedimenti sono regolati da una lingua che per
evitare coinvolgimenti emotivi o mimetici troppo scoperti opta per un
registro medio- alto ironizzato (perfino con esiti di tipo estrosamente
neocrepuscolare: " Sono attratta dall´incredulo sbadiglio
vagabondo / e dal senso di approdo / che il termine ´pelle´
proclama"): ma il gioco del trompe-l´oeil è sempre in
atto. " Dal di dentro sfioro il corpo / stinto e sbilanciato /di una
piena dismisura / ed approdo al chiarore atteso / del più scabro
vacillamento".
E´ insomma, quello di Longo, un universo in
costante deragliamento in cui davvero è saltato una volta per sempre
il rapporto rassicurante tra le Parole e le Cose. " Il tramonto è
un superbo scaffale, / esponente di un radicale disorientamento!".
Niente, ancora una volta "magrittianamente", corrisponde a se stesso.
Le funzioni sono definalizzate. Un sottile vento "surrealista" spira
tra i versi : " Mia nonna ha pregato come una spada, / marcandosi il
colorito in un blocco distinto, / come un dirupo, una pietra pomice. / Invero
due volte ha sospeso il bastone, / in strada ha sospeso il bastone / per congiungere
lunghe le mani". Oppure : "Ho le scapole spente / sagomate dal ghiaccio
pugnace, / che riverbera accenti di boschi lontani./ Ogni sillaba d´odore
reca sogni di lampade" : in cui perfino la reminiscenza pascoliana
(del Pascoli di Gelsomino notturno) viene volta (stravolta delicatamente) in una
crudele diade - "spente", "sagomate" - che segna il corpo
della parlante in modo raggelante.
Il gioco sintattico di Anna Laura è
scaltro; idem il gioco metaforico, mai scontato, e nel quale l´aggettivazione
lavora a un compito di depistamento sbilenco di grande efficacia. " Conoscevo
il tuo peso di chewingum, / il vasto ombelico, segugio di terraferma, / uomo che
disimpari l´acustico impatto / con sbieche carezze / nella progenie elastica
di tenui sospiri".
La vocazione al raffreddamento delle emozioni e
al cauto disporsi all´analisi non smorza certo l´energia (anche plastica)
di questa poesia, capace quasi infallibilmente di sorprendere, per suggestione critica,
le attese di chi legge: "Ho timore che il ventilatore / pratichi un buco /
sulle mie giunture autoabbronzate, / ho timore dell´anguilla come in passato, /
quando il laccio della proporzione mi occludeva di cosmetiche masse. /
Nelle varie parti del giorno / mio padre marciava semichiuso / dentro il
calcolo infinitesimale / il suo naso inversamente ecclesiastico / scalpitava
nella scossa di una intercettazione". Plasma è un libro - sistema,
non una raccolta più o meno felice di testi poetici. Per questo il suo
snodarsi è spiralico. Per questo la sua coscienza di sé, del mondo
inafferrabile e della lingua che - una volta pronunciata - paralizza se stessa
come lo sguardo di Medusa mi convince e mi aiuta a credere che il lavoro che
in pochi tra i moltissimi abbiamo fatto nel tempo, per affermare una scrittura
poetica anti - viscerale e anti - emotiva, non sia stato vano.
Gennaio 2004
APPROFITTA DEL BUIO - Zone d´indagine Thau
Approfitta del buio per
|
- immergere un panno nel lago |
- permeare di cera la spina dorsale |
- dare prova di innalzare lo sguardo |
Qui lo sguardo peraltro ha uno snodo,
una sua militanza
Tu approfitti del buio
per lasciarti vegliare,
sopraffare dalle cime
di un´occulta muraglia e poi
quando il panno è asciugato |
(ora il panno è asciugato) |
quando è forte il tremore alle mani |
il tuo sguardo persiste ma recide |
ma recide |
o domanda? |
Le gambe per me sono state indovine,
lucide di olio solare e su un tratto di terra battuta
hanno preso a schierarsi
a sondare.
ODE A UN´ESTATE ASFALTATA
Su papiri d´inadempienza
qualcuno ha sguainato promesse di smalto,
uno smalto che schiva i papaveri,crespi,
come tranci di violenza
ed è come andare a ritrarsi
dalla parte del viola integrale
e quel viola ha i toni smorzati,
per innate ragioni di luce.
L´estate rigonfia il suo volto
- pulsante colposo-
e m´ intride di assetto guerriero,
se ovunque i miei pori
somigliano a bocche laccate
d´ aroma di zenzero,
a finestre smerlate di irrequietudine
ondosa.
L´estate scoperchia la fronte
- residuo di citoplasma -
e ricade istantanea una frangia
lussuosa :
un manto a coprire le piste essiccate.
Solo un vacuo lavabo di pietra
sarà scrigno profondo
al mio piano di mutevolezza.
Una benda sugli occhi!
Ed annuso l´essenza del passo inarcato
del busto in torsione che indaga
sul senso di un ligneo pigiama.
FRAGILE QUASI FOSSE UN´UNGHIA AMMACCATA
Se un manipolo di lucciole radenti
vestirà le discromie profonde
connotanti la mia forza brada,
quella forza sarà sponda,
sarà sponda presto,
senza funi di reggenza.
Al risveglio non ho nulla,
fuorchè spazi estesi di capienza:
varchi ampi, quanto occhi avulsi,
quanto ghiandole maculate di tregua.
Una bianca perla voluttuosa
è ciò che cede in prestito la nebbia
(manichina passeggera).
C´è illusione d´ubiquità:
su ciascun sagrato,
su ciascun fondale o spalla vellutata.
Guarda! Mi riscopro giunco,
dimenato di salienza estrema,
in flagrante spesa dentro un ritmo
inesausto di marimba
e gessata di un sanguigno
spasimo sublime.
Sappi!
Sono mano nella mano con la terra,
questa terra richiedente un massaggio di dolcezza,
fragile, quasi fosse un´ unghia,
quasi
fosse
un´ unghia
ammaccata
L´ imminenza
sono pronta a inghiottirla di nuovo,
come fosse emulsione invisibile
o ventata di molle fragranza.
Una voce che disveli limpidezza ricerco.
Quando temo sono figlia di un soffuso dipanare,
sono clone di un subacqueo fiore fotosensibile.
Ma del resto io mi forgio in lineamenti di divario
e sconfinando mi protraggo
fino a farmi racconto.
Le indistinte ombre del Tempo
sono calde
sotto lunghe file di cucchiai sedentari
mentre io le mani asciugo
su ricalchi di fobie svaporanti,
io le mani esilio
sbalanzando ogni fibra di ignara secchezza
e gengive forti sento dove pende,
lenta, incubazione di vertigine.
Sono attratta dall´incredulo sbadiglio vagabondo
e dal senso di approdo
che il termine "pelle" proclama.
Io le mani
sporgo:
desiderio di striiiiiiin-
gere
a me.
Sta tentando il deserto
di rapprendersi in plettro
giurando, stringato,
la sua eterna infatuazione.
Ma chi è
che col ferro del buio
riplasma lingotti di intenti antitetici?
Chi disarma con suoni di clacson
il più fioco brusio di ribelli panni
e ne genera, conscio,
appetito di antipodi?
Se impugnassi
la veemenza di un sintetico pettine
potrei, forse, sviscerare
la fluenza della netta finitezza.
Una
rosa centifolia
si abbandona
come acqua versata.
DOLORE. PRESSIONE MEDIO-FORTE
Si adorna il Dolore
di una bruna e ricciuta parrucca
- elettrizzata -
e quasi privo di attitudine gesticola
alacre, col suo fiato giacente
a ridosso di corpose balaustre di silenzi,
carpiti,
epurati,
polivalenti.
Dal di dentro sfioro il corpo
stinto e sbilanciato
di una piena dismisura
ed approdo al chiarore atteso
del più scabro vacillamento.
Ciascun giorno che bussa,
mi richiede appigli di maniglie,
più il tepore di un giaciglio.
Io rispondo,
poiché è un dono
che il mio ardore non s´impregni
di astringenze.
Tutti i miei movimenti
forse pongono in salvo
firmamenti di labbra adottive
e mi preme saperli disfatti dal sale,
irriflesso in un magma di vivide foglie in raduno.
Sono giorni di luce pulsata,
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quando elidi, semmai, la discolpa
nella zona di un invalicabile grano.
NOTTE
(Arrangiamento per diagrammi di flusso)